Newsletter di Mario Pagliaro, 18 febbraio, 2003:

Evoluzione Internet per l'impresa italiana?

Sommario:
Antonio Tombolini a Palermo offre ai corsisti del Quality College del Cnr, e a tutti noi, uno degli interventi più profondi mai ascoltati in Italia sulla relazione fra Internet e impresa. 

Antonio Tombolini a Palermo nel febbraio 2003, al Quality College del CNR

"L'ho chiamata Esperya – ha detto l'imprenditore marchigiano rivolgendosi a Mario Pagliaro – come i Greci chiamavano l'Italia con la stesso nome della stella della sera: Venere, cioè Espero in greco. E anche il logo di Esperya viene da quel mito: le Esperidi, ancelle di venere, avevano come frutto sacro la mela. Tagliando la mela orizzontalmente, infatti, il torsolo e i semi, in sezione, disegnano una stella: il logo di Esperya è questo". 

"Il mio incontro con Internet – ha esordito dunque Tombolini – avviene nel 1995 quando anche i giornali e la stampa ne cominciarono a parlare, quasi costretti. Ero direttore generale di un'impresa di produceva antenne telefoniche.

Il mezzo cambia il messaggio

Un giorno la Bosch, nostro grande cliente, ci comunicò che dall'indomani i loro ordini sarebbero arrivati via email. Ci attrezzammo in 24 ore e così mi ritrovai in Internet.

"Mi accorsi ben presto, però, che il cambiamento del mezzo di comunicazione cambiava il messaggio. Cioè, con il fax, c'erano la carta intestata e la lettera che io scrivevo al product manager Robert Friedman che mi rispondeva a sua volta col telefax. Con l'email – e specie con le prime email: font courier e niente immagini o link – il messaggio diventava: 'Caro Robert, ti allego il file excel con il nostro prezziario. Ho saputo che vieni in Italia. Fammi sapere quando che andiamo a cena sotto il Monte Conero". 

"Cambiavano, cioè, le modalità della relazione: non esisteva più separazione fra la sfera professionale e quella personale. Fra il lavoro e la vita.

"Io ero Antonio e lui Robert. Lo strumento di comunicazione ci metteva lì per intero. E questa è stata la mia prima percezione della Rete come trasformazione non evolutiva, ma di rottura. Io mi trovavo, ahimè, a parlar spesso di ristoranti e di cibo. Ma il primo fatto osservabile legato ad Internet era che la comunicazione insegnata per esempio negli Istituti tecnico-commerciali ("data, destinatario, gentile dottore, cordiali saluti") era finita.

logo di Esperya. Tagliando orizzontalmente la mela sacra alle Esperidi l'immagine è una stella

Conclusa.

Credo che chiunque di noi usi la posta elettronica, può testimoniare che si tratta di una forma di comunicazione molto più coinvolgente e personale del fax o della lettera commerciale. Non ha l'immediatezza del telefono o la formalità della lettera. Ma pur non essendo sincronica, consente comunque una riflessività molto maggiore insieme a una grande rapidità e semplicità d'uso.

L'impatto di Internet sul lavoro

"Vorrei quindi estrapolare – ha continuato Tombolini – e arrivare alla prima e alla seconda conclusione relative all'impatto di Internet sul lavoro:

  1. Fine della separazione fra business e vita privata

  2. Centralità della persona rispetto alla funzione

"Mi scusi – lo ha interrotto subito una corsista – ma lo scopo dell'impresa non resta comunque quello di avere l'ordine della Bosch?". 

"Questo – le ha replicato l'imprenditore e consulente marchigiano – è il tema centrale del mio intervento. Qual'è lo scopo del business. Sto per tornarci. 

"Vorrei ancora enfatizzare, prima, il fatto rivoluzionario di poter chiedere di Robert mentre prima, col fax, Robert o Wolfango che fosse erano egualmente anonimi. In questo senso se introduciamo l'email in un'azienda, dovremo essere consapevoli del fatto che l'immagine aziendale non sarà più fatta di comunicati stampa e dell'ufficialità. Ma anche di tutto quello che comincerà a filtrare all'esterno.

"Questo mi fece innamorare della Rete: iniziai ad acquistare libri che non avrei mai comperato e on-line trovai per esempio persone con le quale giocare a scacchi – la mia seconda grande passione – che non avrei mai potuto trovare a Loreto. Nel '97 decisi di bruciarmi i ponti alle spalle: far coincidere il lavoro con quello che amavo. Ora, la mia passione è la gastronomia: ogni volta che partivo per lavoro, tornavo con le buste dei migliori prodotti alimentari dei posti che visitavo. 

"Poteva diventare il mio lavoro?

"Cominciai a lavorare all'idea della bottega on-line. Era la fine del '97 ed erano iniziati i discorsi sui business-plan e l'interesse spasmodico della finanza per Internet. Io avevo iniziato con mio fratello Paolo e un mio amico d'infanzia (siamo 7 fratelli e io sono il più anziano), ma vivo a Loreto ed ero (eravamo) del tutto al di fuori dal vortice che stava per scoppiare. 

"All'inizio, Internet era fatta dei newsgroup. Io partecipavo a quello di It.Hobby.Cucina: se andate su Google troverete i messaggi datati 1997-98 delle 150-200 persone al giorno che mi assistettero nella creazione di Esperya.

Così, quando nel maggio '98, facemmo una festa per la nuova azienda, c'erano 80 persone che si erano conosciute on-line. Quindi, ancora prima di nascere, l'azienda aveva già i suoi supporter. 

Unità di misura: Passione

Pertanto la terza evidenza relativa ad Internet di cui mi convinco sempre di più è:

  1.    Su Internet, l'unità di misura è la passione.

"Perché – gli ha chiesto quindi un corsista – quando apro Internet sul mio PC, mi compare sempre la stessa pagina che io non ho mai chiesto?"

"Se è per questo – gli ha replicato Tombolini – non vi capita di veder comparire pagine che appaiono e poi scompaiono? Non hanno compreso la natura di Internet. E buttano via milioni di euro (o di dollari) per nulla. 

"Ora, ricordate il tempo quando distribuivano i CD-Rom gratuiti? L'idea era che collegandosi attraverso i siti dei portali, gli utenti sarebbero partiti e ritornati lì. E' la stessa idea che sta dietro la TV: gli utenti sono cretini. E faranno quello che noi abbiamo deciso per loro.

"Mi segno questo punto sul quale torneremo perché è fondamentale, e torno a monte.

"Fondammo Esperya con l'obiettivo di viverci almeno noi 3 fondatori. Una bottega on-line che funzionasse come al mercato, dove si stabilissero relazioni personali, e non anonime. Avevamo, naturalmente, una gamma di prodotti disponibili ed un magazzino – perché senza non è possibile lavorare. Se, per dire, mi ordinavano 6 prodotti, senza magazzino avrei dovuto chiamare 6 volte il singolo fornitore e fare pagare 6 volte l'invio. A noi fu chiaro fin dall'inizio: non c'è bottega senza retrobottega. E a differenza di altri, eravamo in grado di consegnare in tutta Italia in 24 ore.

"Poi successe tutto in fretta. La stampa iniziò a parlare di Internet e la notizia di Esperya uscì su tutte le maggiori testate nazionali, e così al Natale '98 ci ritrovammo con un'immagine nazionale per la quale non avevamo speso una lira di pubblicità, visto che il nostro investimento in comunicazione consisteva nella partecipazione alle Fiere come il primo Salone del Gusto di Torino, dove recuperavamo l'investimento con la vendita dei prodotti allo stand.

Esperya: Arriva il Gruppo l'Espresso

"Nel marzo del '99 ci pagammo il primo stipendio: avevamo raggiunto l'obiettivo. E a luglio venimmo contattati dal Gruppo L'Espresso di Carlo De Benedetti che aveva appena fondato Kataweb. Ci proposero di cedere il 70% delle azioni per 600 milioni di lire e in cambio ci lasciavano la conduzione operativa. Andai da Paolo Dal Pino, che mi disse: 

- 'Bene, quanto costerà questa Esperya, 1 miliardo?' 

- 'No, 600 milioni'. 

"Ai miei soci non lo dissi che dopo qualche tempo. Ma non mi sono mai pentito perché era un comportamento che ci dava credibilità e garantiva autonomia: nell'accordo raggiunto era scritto che non erano possibili aumenti di capitale e che io sarei rimasto amministratore delegato fino alla fine del 2004.

"Chiudemmo il '99 con 1 miliardo di fatturato, passati a 5,2 nel 2001.

C'erano molte idee: fondare un tour operator innovativo sulla Rete ed aprirsi ai mercati esteri. Ma adesso vi chiedo: fate la domanda 'Cosa vendi?' a Tiscali o a Kataweb; oppure, 'Qual'è lo scopo della vostra azienda?'. 

Il boom indotto dai media delle dot.com

"Qual'era – ha continuato Tombolini – il problema delle società dot.com (cioè delle imprese che operavano su Internet)? Quale scopo avevano? Naturalmente, il loro scopo era quello di quotarsi in borsa. E non di vendere qualcosa.

"Tiscali? Internet? Tutti – banche d'affari, giornalisti, consulenti e mass-media – dicevano che fosse il futuro. Quotarsi in borsa. Tanto, i rapporti erano di 1 a 400. De Benedetti investì 100 miliardi per Kataweb, e ad aprile 2000 rifiutò di quotarla a Milano per 4mila miliardi, perché gli parevano troppo pochi. A giugno, vendette ad Unicredito il 5% per 300 miliardi, il che significa che in quel momento valevano 6mila miliardi.

"La quotazione in borsa diventava quindi lo scopo dell'esistenza dell'impresa. Chl, Vitaminic, Tiscali: Se andate a vedere i bilanci – on-line per obbligo legale – troverete per esempio che Chl riporta vendite in calo da 50 a 30 milioni di euro da gennaio-settembre 2001 a gennaio-settembre 2002, a fronte di perdite di 110 e 100 milioni di euro.

"Ora, in America le aziende falliscono seriamente. Qui da noi, meno. Ma resta il fatto che i fondatori proprietari di queste aziende hanno intascato i soldi delle quotazioni iniziali. De Benedetti, per esempio, ricavò 1000 miliardi con la sola quotazione di Cdbwebtech. Quando la bolla speculativa esplose e Kataweb capì che non ce l'avrebbe più fatta a quotarsi a quelle cifre, iniziò a dismettere tutte le attività, possibilmente senza fare rumore, come ad esempio fece con Zivago che avevano in società con Feltrinelli.

"Esperya, no. Mi chiamarono a febbraio 2001 chiedendomi di trovare un acquirente che la pagasse 8 miliardi. Avevo un diritto di prelazione e trovai i soldi richiesti con il contributo di miei amici imprenditori. Ma quanto ad aprile 2002 andai dall'amministratore delegato del Gruppo L'Espresso Marco Benedetto, si rifiutarono di vendere, aumentarono il capitale e mi licenziarono.

La relazione è valore economico

"Dal giorno dopo in cui sono andato via, il calo delle vendite di Esperya è stato del 60% a fronte di un aumento del 20% nel periodo gennaio-marzo. Perché?

"Perché era una bottega on-line. Con il forum messo al centro della home page. Un'azienda in piazza. Loro fecero invece l'errore di chiudere il forum. E questo aumentò ulteriormente il battage e la protesta. Ora, a prescindere dalla vicenda personale di Antonio Tombolini, vi dico questo per mostrarvi come valga la seconda dimensione essenziale di Internet – la persona che supera la funzione. 

"Ma la relazione ha un valore economico: -60% di vendite.

"Prevedo che nella new economy ci saranno ancora molti altri fallimenti ma adesso fate attenzione a come è passata nel messaggio mediatico, la new economy: 'Ve l'avevamo detto noi che l'economia era il petrolio, l'acciaio, il tabacco e gli operai'. Così, in un niente, siamo passati all'epoca riduttivistica. 

Internet cambierà il commercio mondiale

"C'è un ragazzo che conosco che sta scrivendo una tesi di laurea sull'informazione durante gli anni della  new economy: sta mettendo accanto gli articoli degli stessi giornalisti quando osannavano le dot.com e quelli di oggi in cui sparano 'a palle incatenate' su Internet e qualsiasi cosa vi abbia a che fare.

"La morale sarebbe dunque – si è chiesto Tombolini, chiudendo la prima parte del suo intervento in cui ha lasciato senza fiato i corsisti – che Internet è solo qualcosina in più di telefono, fax e tv messi insieme? Che va bene solo per vendere qualche salamino? E che dunque non intaccherà mai gli interessi del commercio internazionale? 

"Eppure, il numero di connessioni e la durata dei collegamenti alla Rete crescono sempre di più, così come crescono la larghezza di banda e le zone che sono servite dal segnale Internet. Cresce, cioè, a prescindere dal business. I signori del business – e quindi anche noi, che lavoriamo e svolgiamo delle professioni – possono farne a meno. Ma la Rete continua ad esistere. Allora la domanda è: Il business può davvero fare a meno della Rete?

Moltiplicatore di relazioni

"Allora, – ha chiesto ancora l'autore della prefazione a Cluetrain Manifesto – pensiamo a cosa facciamo noi in Rete? Comunichiamo, come non abbiamo mai fatto in passato. La Rete è un moltiplicatore di relazioni come non ce ne sono mai stati. Passiamo sempre più tempo a navigare. Comperiamo? Molto poco. Anche se a ridosso del Natale escono i soliti articoli che celebrano il trionfo degli acquisti on-line e l'aumento dei fatturati. Io stesso, che in Rete ci campo, compero poco. Qualche libro, il videogame per mio figlio.

copertina di Cluetrain Manifesto:95 tesi su Internet e l'impresa che hanno fatto scandalo"Ricordate l'uso della carta di credito? All'inizio, la usavamo solo per gli alberghi. Ora la usiamo per la pizza e per la benzina. Col tempo, cioè, passerà. In realtà, su Internet c'è pochissima offerta e quindi pochissime transazioni.

Cosa facciamo in rete

Allora, cosa facciamo in Rete?

"Cerchiamo delle cose: lo studente la usa per cercare notizie su Freud, sul quale deve scrivere la tesi. Oppure navigo per cercare le persone e i siti che condividono le mie passioni e con cui coltivare i miei interessi. E in tutto questo, non ci sono transazioni di denaro mentre il costo della connessione tende a zero. Col wi-fi, per dire, siamo on-line ovunque e a costo nullo, come già succede in alcune aree dell'aeroporto di Fiumicino.

"Ora, alcuni hanno cominciato a richiedere il pagamento dei contenuti. Come fa per esempio Repubblica. Ma qual'è il risultato? Che nessuno paga. Questa era la filosofia dei portali che abbiamo visto prima: io ti do qualcosa e tu mi paghi. Virgilio, Kataweb, Yahoo: io ti metto dentro le risorse specializzate (il cinema, la musica, la cronaca ecc.) e metto la mia redazione a produrre contenuti per il portale. Tu, cara azienda, metti qui la tua pubblicità e pagami.

"Quanto pagate per avere 1 milione di contatti sulla stampa? Bene, pagatemi la stessa cifra per il Web. E invece, nel dicembre '99 un banner costava 150 lire per impression (cioè per click); e oggi costa 4 lire. Nessuno, cioè, clicca sui banner. Mi capitò, ad esempio, di vedere su Virgilio il banner di Esperya che io non avevo né richiesto né tanto meno acquistato. Li chiamai e gli dissi che se non mi avessero rimosso subito, li denunciavo.

La morte della pubblicità

"Mi risposero che mi avevano inserito gratuitamente per mostrare di averci come clienti.

Questa quindi era la rivoluzione: la morte della pubblicità

"Pensate al caso AOL-Time Warner: l'obiettivo era di mettere a disposizione delle aziende i cento e passa milioni di americani connessi alla Rete grazie ad AOL. Ma l'obiettivo è fallito perché le persone non fanno affatto quello che vogliono i proprietari del provider divenuti elaboratori di contenuti.

"La pubblicità diventa addirittura negativa: ed ecco perché chiesi a Virgilio di cancellarmi dal loro sito. Ora apriamo Virgilio (in sala è presente un videoproiettore connesso alla Rete) ed ecco: la pubblicità di Tin.it. Adesso apriamo Repubblica. Ed ecco: Esperya. Cioè, ormai fanno la pubblicità a sé stessi

"Quant'è il click/through sui banner? 0.05. Cioè zero. 

"Torniamo quindi al nostro studente che cerca informazioni su Freud. Se fa la ricerca su uno di questi 'portali', i links ai siti che parlano di Freud saranno stati pagati dalle imprese; e l'utente lo sa. Altavista, visto che la pubblicità on-line stava morendo, cominciò allora a vendere la posizione gerarchica nei risultati della ricerca; e lo scrisse ai suo azionisti. Un minuto dopo, l'informazione si diffuse a macchia d'olio col risultato che Altavista perse buona parte dei suoi utenti!

Google: Valore al punto di vista degli altri

"Adesso invece prendiamo Google, che in 3 anni ha quasi cancellato motori di ricerca più antichi e conosciuti come Altavista e Yahoo. Due studenti americani hanno cambiato il modo di dare rilevanza ai risultati delle ricerche: niente links a pagamento. Si fa come nella ricerca scientifica. Per primi, i siti corrispondenti alla query di ricerca che sono più citati dagli altri siti: il citation rate. Inoltre, Google pesa diversamente una citazione se viene dal New York Times o dal giornale sottocasa.

"Come fa allora i soldi, Google. Con i collegamenti sponsorizzati? Molto pochi. 

"Li fa offrendo i propri servizi specialistici a organizzazioni che li vogliono 'tagliati' sui propri bisogni. Non è quotata in borsa e nel 2002 ha fatto 200 milioni di $ di fatturato.

"Adesso andiamo sul mio sito. Vedete: c'è una finestrella in cui compaiono i top 10 hits su Google corrispondenti alla parola chiave del mio intervento (in questo caso la Shoah)

Gratuitamente.

Internet, un nuovo continente

"Allora, cos'è Internet?

"Un mezzo di comunicazione? Certo. Ma c'è dell'altro: la Rete tocca anche i contenuti della comunicazione.

E' un posto per il commercio? Certo, ma prescinde dal commercio stesso e sta benissimo senza.

Internet, a me piace ripetere, è un luogo. E' un luogo: un'innovazione di rottura che ha la portata dell'invenzione della macchina a vapore, della corrente elettrica e della scoperta dell'America. 

"Sito significa luogo. Navigare, si naviga fra luoghi diversi. Gli incontri si fanno nei luoghi.

"Allora, in questa Terra Nuova, ci saranno dei posti dove non andrà nessuno e altri in cui vanno in molti. Quante persone, per dire, vanno a visitare il sito della Nestlé? Mi piacerebbe che Nestlé mettesse il link alle statistiche di visita come faccio io sul mio sito. Ma temo che non lo facciano perché si accorgerebbero che non li visita nessuno.

Dunque, le imprese possono davvero ignorare l'esistenza di Internet?'

"Eppure il boicottaggio della Nestlé non è forse nato sulla Rete? 

Tell Shell - Forum
foto di persone dal Forum sul sito di Shell Email opinions & comments or join our open forum

Shell lo ha capito

"Bene, andiamo sul sito della Shell. Siete d'accordo che in genere pensiamo che quelli della Shell sono dei fetentoni inquinatori. Andiamo nella home page. Ed ecco. Shell ha capito la natura della Rete: c'è un forum aperto in cui chiunque può lasciare la propria opinione. Liberamente. Anche chi dice che Shell è la più fetente compagnia del mondo.

"Andiamo su Esperya, adesso. Cerchiamo il link al forum, che c'era. Apriamo e troviamo che 'Partecipare non richiede altro che il rispetto di alcune regole. Il Forum è moderato a priori: saranno pubblicati solo i messaggi che alla verifica preventiva le rispetteranno'. Cioè è come se vi invitassi a cena a casa mia e poi vi dicessi: per favore, non sputate per terra. 

"Voi che fareste?

"Vediamo. Apriamo ancora e: 3 visitatori dal 16 al 28 di gennaio. Capite?

"Ma non è pericoloso? – chiede ancora un corsista – Lei pubblica anche gli insulti? 

"Certo. Sono talmente pochi che si commentano da sé. E' come quando qualcuno passa in piazza e si mette a gridare insulti: lo guardiamo compatendolo.

Diffidate degli esperti

"Internet è come avvenne con l'America. Diffidate dagli esperti che vi dicono di esserlo, perché non ce ne sono. Ad entrare in crisi, sono i concetti stessi di strategia e management. E dobbiamo essere dei bravi esploratori. Noi come le imprese. Andare avanti a tentoni. Provare. Tracciare i sentieri. Questo è il destino delle persone che s'incontrano e che non si conoscevano.

"Il mercato – ha aggiunto ancora Tombolini parafrasando il grande Robert Pirsig – non era un verbo: marketing, gerundio di to market. Era il nome di un luogo. La piazza dove si svolgeva. E ci stiamo tornando. Dobbiamo entrare in Rete con l'ottica di esplorare cautamente, fare incontri e stabilire relazioni. Siamo riportati ad una dimensione in cui è restituita interezza alla persona umana. E non ci siamo più abituati. 

"Una dimensione dove siamo alla pari. Antonio Tombolini non è più lo sconosciuto di Loreto e la Shell non è più per forza il gigante che sfrutta, inquina e se ne frega dell'ambiente. 

"Nello spazio fisico – ha concluso Tombolini il suo splendido intervento durato quasi 4 ore – la distanza in metri esprime la prossimità di corpi e persone. Su Internet, la distanza fisica non si esprime in metri ma con le affinità di interesse: i link, come ha compreso Google, esprimono tali affinità. In Rete, l'unità di misura non sono metri ma passioni condivise.


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