Marcello de Cecco

Abruzzese, classe 1938, il professor Marcello de Cecco, dal 2003 è ordinario di storia della finanza e della moneta alla Scuola Normale di Pisa.

Marcello è per l’Italia la prova vivente che è vero per gli scienziati italiani quello che lui stesso ha scritto in uno dei suoi libri più recenti a proposito del nostro Paese (“L’economia di Lucignolo. Opportunità e vincoli dello sviluppo italiano”, 2000):

"Ma ai livelli più privilegiati della società è sempre esistita gente capace di stare alla pari con i massimi scienziati di qualsiasi altro paese. Quanto al popolo, esso era stato civile da talmente tante diecine di secoli da avere una cultura sostanziale quasi nei geni. Bastava versare su quelle radici un po’ d’acqua fresca, per esempio qualche anno d’istruzione elementare, perché rifiorissero. Com’è accaduto…

Quel che ho voluto esprimere nelle pagine che seguono, con tanta enfasi da sembrare ripetitivo e quasi jettatorio, è il timore che questi caratteri fondanti dell’Italia di ogni tempo si siano attenuati negli ultimi anni, e tendano a scomparire.“Abbiamo, ad esempio, distrutto le vecchie scuole tecniche…e al loro posto abbiamo messo istituti incapaci di insegnare ai giovani il sapere pratico, sia il vecchio che il nuovo. Quello che era il paese degli artigiani incomparabili, degli ingegneri rinascimentali, dei matematici che inventavano metodi per calcolare cambi e interessi a mente, è diventato il paese dei paglietti e dei commercialisti, dei consulenti del lavoro, dei procacciatori di certificati”.

I suoi studi sui  problemi di teoria, politica e storia monetaria e finanziaria, hanno illuminato la storia dell'economia moderna italiana e mondiale. 

Ha tenuto la cattedra di cultura italiana presso la California University at Berkeley, e siccome l'Italia è scandalosamente priva della sua ENA, ha insegnato presso l’Ecole Nationale d’Administration di Parigi.

Laureato in giurisprudenza a Parma e dopo in economia a Cambridge, ha proseguito gli studi e le ricerche a Bologna (Bologna Center della Jhon Hopknis University), a Cambridge (Ph.D), a Chicago (Money Workshop di Milton Friedman), e a Londra. Ha insegnato dapprima in Inghilterra, presso la University of East Anglia di Norwich, poi in Italia alla facoltà di economia dell’Università di Siena, a Firenze presso il Dipartimento di economia dell’Istituto Universitario Europeo, e a Roma alla facoltà di economia e commercio.

Dotato di talento giornalistico, de Cecco scrive 2 volte al mese per l’inserto economico de “La Repubblica” continuando la grande tradizione dell’economia politica degli economisti italiani.

Non perde occasione per identificare le ragioni del decadimento del sistema produttivo italiano nel degrado del sistema educativo e formativo; e profetico avverte:

“Quando nacque, il capitalismo italiano aveva per protagonisti laureati e docenti universitari. Quando fu fondato il CNR lo presiedé Guglielmo Marconi. L’IRI ebbe alla sua testa illustri scienziati. La Edison vide come fondatori Brioschi e Colombo, che fondarono anche il Politecnico di Milano.

Dobbiamo a tutti i costi riacquistare quei livelli. Dietro di noi incalzano moltitudini di nuovi produttori, che possiamo tenere a bada solo con la cultura e la scienza, poiché certo non possiamo competere con i loro salari.

E’ paradossale dirlo, ma l’unica cosa di cui c’è oggi abbondanza nella nostra università sono i soldi. Manca praticamente tutto il resto. E manca specialmente una strategia di fondo, un desiderio di far convergere gli sforzi, di valutare i risultati delle ricerche e di far crescere la qualità degli atenei. 

E vale la pena notare che sul bilancio del CNR le spese per il personale amministrativo rappresentano una percentuale esorbitante se a si confronta con qualsiasi istituzione di ricerca di altro paese”. 

Oggi, molte di queste idee sono fattivamente condivise da una parte crescente dell’establishment italiano. Il nuovo Governo ha in corso una serie di misure specifiche per agevolare la creazione di nuove imprese; e il CNR sta per essere abolito e trasformato in un’organizzazione al servizio dello sviluppo e della crescita economica basata sulla qualità invece che in un’inutile appendice del sistema universitario.

Il lavoro del professor de Cecco, interprete originale e di punta del pensiero di Keynes in Italia, onora ancora una volta il Meridione, e non è certamente interesse dei soli economisti: ma di tutti noi. 

E soprattutto di chi è chiamato a gestire questo passaggio epocale dell’Italia ed evitare quello che lui, beffardo ma tragicamente veritiero, paventava in occasione della scalata di borsa di Telecom Italia da parte di Olivetti:

“Le ragioni dei produttori sono state ignorate. Perché tutto, o quasi tutto, quel che serve a telefonia e comunicazioni si vende da noi, ma si progetta e fabbrica, e da parecchio, all’estero. Si rallegrino i nostri figli. Non progetteranno o fabbricheranno, ma potranno almeno, se hanno voce gradevole e modi urbani, trovare occupazione presso i «call-center» di quelli che vendono e gestiscono i telefono. E’ già meglio che friggere patatine”.


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